PREPARAZIONE – Appena sbarcati in Italia contattammo Michele Betti, speleologo e ricercatore presso l’università di Urbino, per fargli visionare foto di reperti e dei relativi siti. Ci fu subito interesse da parte di Michele e del suo Istituto, tanto che pochi mesi dopo, nel Novembre 2016, si imbarcò per la Macedonia accompagnato da Giacomo Berliocchi per visionare personalmente il sito. Dopo estenuanti “trattative” con il Centro di Conservazione Macedone, che in seguito alla nostra segnalazione e su incarico della Procura della Repubblica Macedone aveva ricevuto il compito di indagare e svolgere ricerche archeologiche sul sito, Michele e Giacomo riuscirono finalmente a visionare di persona il luogo in questione. Ebbero anche l’opportunità di prelevare dei reperti e farli pervenire in Italia, per poter apportare il nostro diretto contributo alle indagini avvalendoci del supporto di diversi nostri laboratori nazionali.
Michele Betti, presso l’Università di Urbino, si interessò dunque di condurre e coaudiuvare tutte le ricerche dal punto di vista anatomo-patologico e biologico sulle ossa. In seguito ad una prima analisi, si stabilì che le ossa erano vecchie almeno di tre secoli, che appartenevano tutte ad una stessa popolazione e in esse figuravano resti di individui di ogni fascia di età, che con certezza non vi era nessun tipo di collegamento delle stesse con i recenti conflitti della zona Balcanica (cosa che preoccupava notevolmente le diverse parti politiche locali).
I lavori del Centro di Conservazione Macedone proseguirono con il contributo di un gruppo speleologico locale: il gruppo Korabi, fondato a Vrutok da Jeton Osmani, che era stato nostro accompagnatore e guida locale nell’Agosto 2016. Jeton (Tony) si era appassionato notevolmente all’attività speleologica, tanto da indurlo a coinvolgere alcuni suoi amici in questa avventura. Dal sito vennero rinvenuti 64 crani in ottimo stato di conservazione e numerosissime altre ossa. Come già aveva avuto modo di verificare Betti, appartenevano ad una unica popolazione e presentavano caratteri morfologici indicanti che tra loro vi fossero individui di entrambi i sessi e di tutte le fasce di età, da bambini a vecchi. Tutti gli indizi farebbero pensare ad un antico luogo di sepoltura.
Contemporaneamente, grazie al prezioso supporto ed alle conoscenze di Alberto Di Fabio dello Speleo Club Chieti, avevamo fatto pervenire foto e documentazione preliminare all’Ing. Stefano Nisi dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso che, con molta disponibilità, ci indirizzò verso possibili laboratori e ricercatori competenti in grado di supportare ogni tipo di ricerca necessaria. Altri reperti ossei vennero quindi consegnati alla dott.ssa Mariaelena Fedi ed alla dott.ssa Lucia Liccioli della rete CHNet dell’INFN sezione di Firenze e datati al Carbonio 14. Grazie alle loro analisi si stabilì con esattezza che ben 5 campioni su 6 erano databili tra il III e IV secolo d.C, mentre solamente un campione al 600 d.C. Ciò dimostrava inconfutabilmente che il sito di Tajmishte aveva un importante valore archeologico.
Su suggerimento di Nisi, tutte le analisi effettuate vennero inviate al dott. Claudio Cavazzuti, paleontologo della Durham University, e alla sua compagna la dott.ssa Alberta Arena, archeloga ricercatrice alla Sapienza di Roma, che si entusiasmarono da subito a quanto mostrato e si convinsero a partecipare alla nuova spedizione del 2017 per visionare personalmente i siti.
Da parte nostra, come speleologi, non restava che partire nuovamente per la Macedonia per “dissetare” la nostra sete di esplorazione che in tanti mesi andava sempre più aumentando. Seguirono numerosi incontri tra di noi per preparare la nuova spedizione e definire nei dettagli il progetto per il 2017. Decidemmo di chiamarlo “Mavrovo Caving Project” con l’obiettivo di condurre, oltre a nuove ricerche speleo-geografiche, anche ricerche dal punto di vista archeologico. Mavrovo è un parco nazionale la cui area è disseminata di doline: proprio lì avevamo trovato la grande Grotta Belul nel 2016 ed è proprio in quel luogo che possiamo dire è nata tutta la nostra meravigliosa esperienza in Macedonia. Il nome del progetto quindi non poteva che ricordare questo posto assolutamente affascinante e suggestivo per noi speleologi.